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Tra Re, Regine e morti ammazzati (XIII)

Un capolavoro…

L’uomo autentico di Don Robertson, Nutrimenti 2016.

“Don Robertson è stato ed è uno dei tre scrittori che mi hanno influenzato quando ero un ragazzo che stava cercando di diventare un romanziere (gli altri due sono Richard Matheson e John D. MacDonald).” Scrive Stephen King nella sua Introduzione. Un bel viatico e, dunque, un forte stimolo alla lettura.

Vediamo. Houston in Texas. “Herman Marshall guardava di traverso la pioggia.” E’ il personaggio principale. Ha settantaquattro anni. La moglie, Edna, giace sul letto d’ottone. Sta per morire. Il figlio Billy è già morto. A diciassette anni di meningite spinale. Arrivano i ricordi, a ondate, con un continuo ritorno al punto di partenza. Lì, in quella stanza. Fratello minore maltrattato dagli altri tre, prima base in una squadra di quasi professionisti, ottimo giocatore di scacchi, autista di camion, uccisore di nazi in guerra. Una vita in giro a bere e scoparsi ragazze, cameriere, puttane, mogli di pastori. E ora è davanti alla sua Edna ad ascoltare la “rivelazione”. Billy non è suo figlio ma di un suo amico, Romero, il messicano.

E ancora il tempo passato che si affaccia, spinge e non da tregua, frasi in corsivo, dirette, che sfrecciano nella memoria: la sofferenza del figlio, gli amici, i vecchi che si intrattengono al Top of the World con la birra che scende a fiumi, le loro stupide barzellette, le pisciate continue al bagno, qualche figura particolare tra gli ubriaconi che si lascia dietro una scia di morti, comprese le tre mogli, i quattro figli e i sei nipoti. E poi Edna, il suo incontro, l’innamoramento, la passione, la terribile verità, la voglia della moglie di farla finita. Che sia lui  toglierla di mezzo…

E via, di nuovo Herman a correre indietro negli anni con il suo eroe Tom Mix di cui ha visto tutti i suoi film. Tom Mix che uccide tutti quegli sporchi farabutti e fuorilegge e avrebbe fatto qualunque cosa per essere come lui; i pensieri e le domande su Dio, sull’inferno e il paradiso, gli applausi di quando giocava a scacchi, il momento in cui Edna si concesse a lui per la prima volta, il matrimonio, la guerra, l’uccisione dei soldati nemici, l’amicizia con il messicano Romero…

La corsa del presente rimescolato al passato non si ferma mai in un susseguirsi ininterrotto di frasi brevi, leggere, assillanti: la morte di Edna, il funerale, le bevute della Shiner,  l’ubriacatura, la vecchia Jobeth che lo consola, la storia del nipote grasso Eugene, la sua terribile infanzia da “Fogna Umana”. E ancora il mondo dei vecchi che scopano (soprattutto nei ricordi) e si pisciano addosso, che fanno le loro battute sdentate, le umiliazioni, la suocera, la guerra, l’istinto di uccidere, il volto della società americana che si svela nella realtà e nelle parole dei protagonisti. E, infine, la svolta, il colpo finale, insospettato, tragico e terribile che inchioda il lettore.

C’è tutta la vita, la stramaledetta vita in questo libro, già pubblicato nel 1987. Così com’è. Nuda e cruda. Un paese per vecchi con la loro schifosa puzza di piscio e qualche sbandata di sentimento. Con le avventure, gli errori, le umiliazioni, il senso di colpa e l’istinto brutale che ci accompagna anche nei momenti più teneri e delicati. C’è tutta la stramaledetta vita in questo libro.

Ed ecco gli spunti riferiti agli scacchi. Il protagonista, il vecchio Herman Marshall, vuole salire in soffitta. Forse ci avrebbe trovato diverse cose “(…O magari anche una scacchiera con gli scacchi. Da ragazzo, a detta di tutti, Herman Marshall era stato un buon giocatore. La gente diceva che era in grado di anticipare le mosse e che non si lasciava distrarre da nulla. Era stato bravo con gli scacchi quanto lo era stato con il baseball, e adesso avrebbe scambiato volentieri cinque anni di quella sua vita miserevole e derelitta per sedere ancora nel negozio di barbiere di Leo a Hope, in Arkansas, magari in un pomeriggio d’estate caldo e dorato, magari nel 1928, respirando odore di colonia e ciuffi di capelli e soffice e densa schiuma da barba, mentre se ne stava piegato su una scacchiera a fare il culo a qualche stronzo presuntuoso che senza saperlo si era imbattuto in un campione di scacchi e, ah ah, che si fottesse).” (pag.89/90). Altri spunti. Riferito ai suoi fratelli “Non gli ci voleva molto a intuirlo e questo forse aveva a che fare col motivo per cui se la cavava tanto bene a scacchi. Dovevi sempre giocare in anticipo, per Dio.” (pag.99). “E così, fra una cosa e l’altra, aveva trascorso un’infanzia ragionevolmente tranquilla e serena., e quasi tutti lo applaudivano per come giocava a scacchi e un sacco di persone più grandi gli dicevano che aveva il cervello di una lince.” (pag.104). “Iniziò a giocare a scacchi per soldi nel 1928, registrando minuziosamente i punteggi, e alla fine dell’anno aveva vinto quasi novecento vecchi bigliettoni.” (pag.107). “Così Herman Marshall fece un’ultima visita al negozio di parrucchiere di Leo e vinse undici dollari in una maratona di scacchi (la cifra più grossa che avesse mai vinto in una volta sola)…(pag.121).

Alla prossima.

I precedenti articoli della serie “Tra Re, Regine e morti ammazzati”:

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