Tra Re, Regine e morti ammazzati (VI)
Il dentista- delitti alle sette chiese di Roberto Carboni, Fratelli Frilli Editori 2014.
Dunque abbiamo due scacchisti che si incontrano nella finale di un torneo di scacchi al palazzetto dello sport di Riccione. Il dottor Dante Zamboni (tradito dalla moglie e lasciato dal figlio) contro il giovane Francesco Raimondi, laureando in odontoiatria, anche lui con qualche problemetto da smaltire (droga e svenimenti vari). Vince il dottore, nasce una amicizia tra i due con invito a casa dello stesso Zamboni che, guarda caso, è pure socio di uno dei più importanti studi dentistici bolognesi. Chiaro che cerca di farlo entrare nello studio ma il dottor Vanni Lolli si oppone. Altrettanto chiaro che fa una brutta fine.
Nel frattempo Francesco amoreggia con la fidanzata Giulia e, di nascosto, con Doriana, donna sposata ad uno più vecchio di lei, e dunque pronta a ripetuti salti sul letto. A queste due si aggiunge in seguito anche Natalia, la figlia di Zamboni, promettente cantante lirica ma, se drogata, ancora più promettente sul letto citato. E si arriva al famoso triangolo non considerato di zeriana memoria (passatemela) composto da Francesco, Giulia e Natalia. Voluto soprattutto da Giulia che però, insomma, un po’, gelosetta com’è, si penticchia. Seguono un ricatto e un paio di morti ammazzati con l’inevitabile intervento dell’ispettore Ghetti. E svenimenti a go-go. Colpo di scena finale che non mi ha convinto del tutto (come il resto del racconto) ma che spero convinca gli altri lettori.
P.S.
Partite lampo di cinque minuti (sei) tutte vinte da Francesco ( pag. 21). Analizzano “il terribile attacco Mikenas della Partita Inglese” (pag. 84).
In Dove? di Marcello Fois in Gialli d’estate di AA. VV., Einaudi 2014, apprendiamo che “Ludwig Gostner il pomeriggio della scomparsa di Riccardo Meletti era rimasto tutto il giorno al Circolo degli scacchi, e aveva almeno venti persone pronte a testimoniarlo” (pag.124). Tre pagine più avanti la polizia scopre che non era un frequentatore abituale e neppure un ottimo giocatore. Ancora a pag. 129 troviamo il nostro Ludwig che sta giocando con “un bambino occhialuto e serioso” che “macellava il suo cavallo sotto la lama rettilinea di una torre in D2”. (Di ragazzi terribili ce ne sono in giro!).
In The MoriartyGambit di Fritz Leiber (sulla rivista ChessReview del febbraio 1962) Sherlock Holmes viene presentato in un torneo scacchistico del 1873 proprio contro Moriarty (addirittura) a cui infligge il cosiddetto “matto delle spalline”.
Dal blog di LuciusEtruscus (http://citascacchi.wordpress.com/) “Arriva l’estate, è il momento degli enigmi da spiaggia e di un libro delizioso come “Sedia a sdraio. Giochi impensati per svagare la mente” (Salani 2011) dello scrittore ed enigmista Stefano Bartezzaghi, che dal 2010 insegna Semiotica dell’enigma allo IULM di Milano.
Che c’entra questo con gli scacchi?, vi starete chiedendo. Eccovi accontentati con il capitolo 7 del libro.
“Portare in spiaggia una scacchiera non è impensabile, ma certo è sconsigliato dal buon senso. Questo a meno che non disponiate di un tavolino e di due sedie, oppure di una di quelle scacchiere dove i pezzi, o per incastro o per l’effetto magnetico di certe piccole calamite, sono fissati alla loro posizione e possono essere mossi solo dal giocatore: non dal vento o da un piccolo sbilanciamento dovuto a un evento di quelli comuni in spiaggia, la corsa di un bambino che mulina sabbia con i piedi o magari un frisbee uscito di controllo.
Anche in questi casi speciali occorreranno però occhi aperti, sensi vigili e un avversario collocato in posizione frontale. Tutte condizioni che potreste soddisfare facendo i quattro passi che vi allontanerebbero dal mare e vi porterebbero ai tavolini del bar, fra i mangiatori di ghiaccioli e gli ascoltatori, anche involontari, delle emittenti radiofoniche commerciali che i gestori dei bar ritengono indispensabili accompagnatrici della vita balneare. Tutte condizioni altresì incompatibili con la sedia a sdraio e con il desiderio che avete ora di chiudere gli occhi mentre il sole vi dona quella che Carlo Emilio Gadda chiamava: «La bronzatura permanente (delle meningi), oggi così di moda». Era di moda, infatti, già allora.
Stando così le cose, avete una sola scelta.
A occhi chiusi, estraete dalla memoria o dalla fantasia la migliore delle scacchiere fra quelle che avete visto, quelle che avete sognato, quelle che state decidendo di immaginare in questo preciso momento.
Di che materiale è? Di che colore? Di che formato? E i pezzi, come sono? Qui vi si rivelerà qualcosa della vostra anima.
Mentre ammirate i pezzi, li disponete nelle caselle: se giocate abitualmente a scacchi non avete bisogno di indicazioni sul colore che deve avere la prima casella a sinistra della prima fila o su dove vadano gli alfieri, il re e la regina. Però, attenzione. Giocare una vera partita mentale presuppone una memoria e un’ abilità maniacali, di quelle che si possono ottenere solo con una rigorosa disciplina interiore magari facilitata da una lunga carcerazione. Così avveniva al protagonista della Novella degli scacchi di Stefan Zweig e, fortunatamente, a pochissimi altri nel mondo reale. Se dunque siete normali giocatori, potete disporre solo pochi pezzi, quasi a caso, inventarvi una situazione di gioco, e provare finalmente a dare scacco a voi stessi”.
In Rombi di tuono per il dottor Fell di John Dickson Carr, Mondadori 2014, a pag. 164, “Silenzio. E’ scacco matto”.
Articolo di Gianni Mura su La Repubblica, 14 settembre 2014, titolo Barbe, Riccioli, Creste, e Lotito Lo Scacchista. Parlando di Lotito. Perché quattro o cinque cellulari? “La prima spiegazione è che come i grandi scacchisti, da Capablanca a Kasparov, egli giochi in contemporanea su ogni telefonino parlando con altrettanti interlocutori e spiegando a ognuno il da farsi”.
In L’assassino è tra noi di Ellery Queen, Mondadori 2014.
“Linda! Papà! Guardate…_ Davy Fox sorrise debolmente. “Ecco la mia scacchiera”. Era posata sul tavolo con i pezzi ancora disposti in ordine di gioco, per una partita cominciata dodici anni prima e mai portata a termine. “E’ terribile” disse Linda con un leggero brivido. “Avevamo giocato la sera prima” disse Bayard sorridendo. “Poi tu, Davy, andasti a letto e troncammo la partita a metà. “L’esito era incerto” osservò Davy. “Sì, mi accusasti di troncare il gioco perché tu stavi avendo la meglio. Ed era vero””. (pag.69).
Bayard era seduto a un’estremità del divano: dalla parte opposta, leggermente curvo, la faccia rossa di collera, era seduto l’agente Howie. I suoi occhietti fissavano la scacchiera posta tra loro. “Una mossa ancora” diceva Bayard ridacchiando. “Una mossa ancora e ho vinto!”. La zampa di Howie vibrò un colpo sotto la scacchiera, facendola sobbalzare sul divano. I pezzi volarono da ogni parte. “Sicuro, avete vinto!”. Attraverso le palpebre, gli occhi sprigionavano lampi di odio.”Se faccio una mossa perdo! Ma non perderò alla fine…”. Bayard raccolse con calma i pezzi e cominciò a disporli per una nuova partita. “Questa è l’undicesima volta” disse sorridendo “Suvvia, Howie, sono disposto a giocare ancora”. Howie diede un nuovo colpo alla scacchiera. Bayard Fox non rise più e non si curò di raccogliere i pezzi”. (pag.130). Può succedere…
In Punti di vista di Patrizia Trinchero, in Sherlock Magazine n° 33, il prof. Moriarty, nemico assoluto di Holmes, “Lei, colonnello, è il punto di smistamento di molte delle mie operazioni e di tutte quelle più delicate in assoluto, solo un pazzo sacrificherebbe la regina per l’alfiere o la torre” (pag.58).
Nella realtà qualche volta può capitare questo sacrificio se porta al matto, ad un vantaggio più o meno decisivo o ad una speranza di salvezza.
Grazie per l’attenzione.