Tra Re, Regine e morti ammazzati (X)
La scacchiera di Auschwitz di John Donoghue, Giunti 2015.
Auschwitz 1944. Paul Meissner, responsabile del campo di concentramento e Emil Clément, ebreo. Un incontro che si ripeterà ad Amsterdam nel 1962. Praticamente la loro storia, in “diretta” dal campo e raccontata attraverso i loro ricordi e un diario del tedesco. Meissner con una gamba di legno, regalo del fronte russo, deve organizzare qualcosa di culturale. Perché non un circolo di scacchi? E perché non una sfida tra gli ufficiali ed un certo Emil Clément, l’”orologiaio”, che pare imbattibile nei suoi incontri segreti con gli altri internati?
Emil li sconfiggerà ad uno ad uno mentre nel campo gli uomini, le donne e i bambini vengono picchiati, violentati, uccisi, mandati sulla forca per qualche fetta di pane rubata (tra cui l’amico Yves), e a morire nelle camere a gas: “Adesso molti gridano, soprattutto donne e bambini. Per pochi, brevi minuti il rumore è assordante. Quando si attenua si sente qualcuno che recita il Kaddish, la preghiera ebraica per i morti.”
Diversi flash back sulla vita di Emil, cresciuto a Metz, poi a Parigi dopo che la madre era stata sbattuta a terra “da un gruppo di uomini con il bracciale con la svastica.”, l’incontro e l’innamoramento con Rosa fino al loro internamento.
Ad Amsterdam, molti anni dopo, incontrerà anche Wilhelm Scweninger, campione tedesco (aveva addirittura giocato nel 1936 a Monaco contro il leggendario Najdorf), con cui si sarebbe dovuto confrontare al campo. Meissner nel frattempo è diventato prete, dopo essersi accorto delle menzogne del nazismo in generale e in particolare sugli ebrei. Dal suo diario “Comincio a chiedermi se tutto ciò che si dice di questa razza sia vero o se, come Lot nella città di Sodoma, l’Orologiaio sia l’unico uomo buono in una moltitudine di malvagi.” Egli è malato e morirà tra atroci sofferenze mentre Emil sarà combattuto con se stesso fino alla fine. “L’odio e gli scacchi. Era questa la somma della sua esistenza? Meissner ha ragione, pensò riluttante. Che razza di vita era la sua?”.
Due storie importanti, dicevo, intrecciate ad altre. Il nazista pentito, l’ebreo calpestato che sa giocare a scacchi, l’inferno di Auschwitz, le riflessioni sul nazismo, sull’odio e sul perdono. Alternanza mirata di periodi temporali con le storie che si intrecciano e riattaccano le une con le altre. Toni giusti, profondi, mai patetici, scrittura delicata, sensibile, dura quando necessario, che entra nelle pieghe degli animi per lasciarvi una traccia indelebile.
Spunti in qua e là
In Fantasma in mare di Carter Dickson, Mondadori 2015, c’è l’esclamazione di carattere generale (Scacco matto!) pag.97.
In Le pentole del diavolo di Nicholas Blake, Mondadori 2015, Nigel Strangeways al dottor Herbert Cammison “Insomma, ti trovavi nella posizione in cui negli scacchi è il re quando non lo si può muovere senza che venga mangiato” (pag.68). Si allude alla posizione di stallo.
In Zero assoluto di Michael Crichton, Garzanti 2015, un personaggio (il conte) al medico Peter Ross “Al contrario. E’ tutto perfettamente logico. Una partita a scacchi fra me e il professore”. “Non sono mai stato bravo negli scacchi”. “Si impara in fretta” ribatté il conte, “quando si è sotto stress”. (pag.135).
In Lo specchio nero di Gianluca Morozzi, Guanda 2015.
“Di lì a poco, ne era certo, Monesi avrebbe chiesto a Isabel “Tu giochi a scacchi?”, per poi partire con la sua conferenza classica sul giallo” (pag.60). “…perché gli scacchi, Isabel, sono un gioco affascinante e strano, in cui devi essere stratega e leggere nel pensiero. Devi portare avanti le tue strategie, ma nello stesso momento capire cosa sta architettando l’altro e contrastarlo…è tutta così, una partita…un po’ fai il tuo gioco, e un po’ provi a distruggere quello che immagini stia facendo l’altro”. E’ quello che fa Monesi quando scrive un giallo (pag.61).
In Sherlock Holmes e il caso del papiro egizio di David Stuart Davies, Mondadori 2015, Catriona Andrews, venuta per uccidere Holmes, lo accusa di non capire l’amore “Se ne sta qui al caldo nella sua stanza polverosa a lavorare su indizi e ipotesi, senza mai considerare il dolore, l’angoscia, le tragedie di cui sono pervasi i casi su cui sta indagando. Le persone sono solo tessere di un rompicapo, per lei, pezzi su una scacchiera.” (pag.158). A pag.170, nell’articolo George Newnes e Arthur Conan Doyle: un sodalizio di grande interesse di Gabriele Mazzoni veniamo a sapere che “Newnes era un uomo molto metodico: frequentava i suoi collaboratori, con i quali pranzava quasi tutti i giorni o giocava a scacchi nel tempo libero e passeggiava per lo Strand, che amava. Nel 1889 perse uno dei figli, Arthur, di otto anni, che cadde fulminato da una meningite durante una partita a scacchi in casa. L’editore lasciò per molti anni intatti il tavolo e la scacchiera, con i pezzi esattamente come si trovavano al momento della disgrazia”.
In I monaci dell’Abbey Victoria di Rupert Holmes in I mille volti del giallo di AA. VV.. Newton Compton 2015, un certo Dale Winslow si trova incastrato “Mi avevano chiuso nell’angolo della scacchiera, con il mio re che non poteva far altro che muoversi in due posizioni, entrambe le quali mi avrebbero messo sotto scacco.” (pag.122). Praticamente uno stallo.