Gli scacchi sul quotidiano Il Foglio
Che la fortunata miniserie tv Netflix “La Regina degli Scacchi” avesse acceso i riflettori sul nostro mondo, non c’erano dubbi. Ma forse non ci è ancora abbastanza chiara la miscela esplosiva che si è innescata durante la pandemia.
Ci giunge infatti notizia di una splendida iniziativa del quotidiano nazionale Il Foglio, che dedicherà il numero speciale di lunedì prossimo, 7 dicembre, agli scacchi.
Il numero speciale ospiterà in prima pagina un corposo articolo scritto dall’editorialista (de Il Foglio e de Il Mattino) Massimo Adinolfi, noto filosofo, scacchista agonisticamente attivo già negli anni 80, quando raggiunse il titolo di candidato maestro. Verranno inoltre regalati ai lettori una scacchiera e dei pezzi di carta, opera del disegnatore satirico Makkox (Marco D’Ambrosio, protagonista della trasmissione Propaganda Live su La7). Il successo dell’iniziativa potrebbe portare ad ulteriori sviluppi, a partire da un corso gratuito ospitato sul sito del giornale.
7 dicembre 2020 - 13:09
Chi l’ha comprato?
7 dicembre 2020 - 13:25
Comprato. Mega-articolo che parte dalla prima pagine e altre due pagine “fitte fitte”.
Lo devo ancora leggere ma da una prima scorsa ho visto che si parla, ovviamente, della serie TV The Queen’s Gambit (La Regina delgi Scacchi), ma anche di Carlsen, Fischer, Kasparov eccetera, e si conclude con dei consigli per gli acquisti per farsi una prima, piccola, biblioteca scacchistica. Ma di questo si parlerà anche qui su Scacchierando, con un articolo in pubblicazione domani.
7 dicembre 2020 - 15:05
Attenzione: Mega-articolo non significa articolo scritto da Megalovic 🙂
Per il resto confermo che è molto interessante…
8 dicembre 2020 - 08:24
Ma che Dio benedica il doppiaggio – e soprattutto quello italiano – ora e sempre! L’indispensabile manna che ci permette di vederli, i film, invece che leggerli!
8 dicembre 2020 - 10:33
il doppiaggio è una abitudine quasi solo italiana: in molti paesi (soprattutto in nord europa) i film sono sempre in lingua originale, al limite con sottotitoli (in lingua). Questo permette anche ai giovanissimi di imparare le lingue molto meglio dei coetanei italiani, e spesso ai fruitori dei film di cogliere sfumature che con il doppiaggio vanno perse (esempio eclatante: in Spartacus i patrizi romani parlano con accento inglese mentre i plebei e gli schiavi in americano; oppure parecchie battute intraducibili legate ai giochi di parole, tipo in “l’aereo più pazzo del mondo” con la famosa “surely- Shirley”).
Certo, ci sono delle eccezioni (rare) per cui il doppiaggio italiano è molto fedele o risulta anzi migliorativo; ma sono eccezioni.
(ovviamente in caso di film di lingue poco parlate il doppiaggio è quasi indispensabile, ma assicuro che vedere un film in lingua originale è quasi sempre la soluzione migliore se possibile)
8 dicembre 2020 - 15:58
Sono d’accordo sul fatto che con il doppiaggio qualcosa va perduto, ma il problema è che con i sottotitoli si perde molto di più. Naturalmente io prendo in considerazione soltanto i doppiaggi fatti con tutti i crismi, non di certo quelle porcherie come il doppiaggio di “Stalker” o di “The Addiction”, inascoltabili. Per nostra fortuna, il doppiaggio italiano è il migliore del mondo, appunto perché qualcuno ne ha capito il valore insostituibile e ha voluto farlo diventare un’abitudine benedetta.
Gli esseri umani sono affetti da un limite fisiologico ineludibile, il quale impedisce di utilizzare i due occhi indipendentemente l’uno dall’altro, sicché per chiunque è impossibile guardare l’immagine e leggere i sottotitoli nello stesso tempo. Gli occhi devono per forza di cose muoversi costantemente dall’immagine alle parole scritte in sovraimpressione e viceversa, in un andirivieni ininterrotto. Ciò significa che, mentre si leggono si sottotitoli, non è possibile osservare con attenzione cosa accade sullo schermo, perdendo così la gestualità dell’attore, le espressioni del viso, nonché la composizione scenografica e fotografica del quadro, l’eventuale movimento di macchina, e così via. Quando, terminata la sequela di sottotitoli, in un momento di silenzio, il nostro occhio può tornare sull’immagine, la mente deve rifocalizzarsi su un insieme di informazioni di ordine completamente diverso, deve cioè ricominciare a leggere e decifrare un’immagine, invece che un testo scritto. Per questo nel mio precedente commento ho detto che il doppiaggio ci consente di vedere un film, invece che leggerlo. Quando capiamo PERFETTAMENTE la lingua che ascoltiamo, la nostra concentrazione non viene mai sviata dall’immagine e dai suoni. Le parole che udiamo la nostra mente le decifra automaticamente, quasi facessero parte dell’immagine stessa. I sottotitoli possono andar bene per chi è interessato soltanto alla trama, oppure per i film più scadenti, che non offrono niente di buono sul piano dell’immagine e della recitazione. A questo problema, che è quello principale, si aggiunge anche il fastidio dovuto all’impossibilità di star dietro ai sottotitoli nel caso di dialoghi rapidi e serrati. Non esiste un normale essere umano nell’universo mondo che possa seguire i dialoghi di “Entre les murs” (“La classe”) di Laurent Cantet senza perdere un bel po’ di parole (per non parlare delle immagini!). Film, peraltro, impossibile da sottotitolare interamente, poiché per mezza durata della pellicola più voci si accavallano, per cui, se si volessero sottotitolare tutte le voci, bisognerebbe riempire lo schermo di sottotitoli, dal margine superiore a quello inferiore. I doppiatori, invece, hanno fatto un lavoro eccezionale – nei limiti del possibile – e così possiamo goderci un magnifico film anche senza conoscere il francese alla perfezione.
La lingua non la si impara semplicemente guardando i film sottotitolati. Chi volesse sfruttare il cinema per imparare una lingua, farebbe meglio a impegnarsi con esercizi mirati, per esempio sforzandosi di trascrivere i dialoghi per confrontarli successivamente con i sottotitoli nella lingua originale – o con altri simili esercizi. Ma questo non ha più niente a che vedere con un’esperienza estetica, che per quanto mi riguarda è il primo e più importante scopo del cinema inteso come arte.
Chi non conosce la lingua originale ode soltanto un flusso indistinto di suoni. Può forse piacergli come suona, ma oltre questo piacere superficiale non può spingersi. Considerato, però, quanto perde in termini di esperienza estetica, non credo valga la pena guardare (o meglio leggere) un film sottotitolato solo per ascoltare il suono di una lingua che non comprende.
Di solito, ciò che si perde realmente sono alcuni simpatici, ma inessenziali, giochi di parole, come quello da te riportato, oppure il fatto che i patrizi romani parlavano inglese moderno e Spartaco parlava americano (devo controllare su un libro di storia romana, ma ho qualche dubbio che a quei tempi si parlassero queste lingue; perciò, se non si parlavano queste lingue, Kirk Douglas e soci potrebbero parlare anche italiano o thailandese e non cambierebbe molto, dal punto di vista dell’esattezza filologica).
Quelli che invece conoscono BENISSIMO la lingua originale, allora è ovvio che dovrebbero preferire l’originale. In questo caso, non c’è la distrazione dei sottotitoli. Tuttavia anche qui ci sono almeno due problemi. Il primo è che il cinema non è solo di lingua inglese. Un vero cinefilo ama parimenti e forse di più tanti film di altre lingue, sicché tale cinefilo dovrà imparare il francese per Truffaut, lo spagnolo per Buñuel, il tedesco per Ophüls, il danese per Dreyer, lo svedese per Bergman, il giapponese per Kurosawa, il portoghese per De Oliveira, il greco per Anghelopoulos, e così via. Insomma, il vero cinefilo deve essere un iperpoliglotta!
Il secondo e, a mio parere, il problema più importante è che la lingua appresa sulla grammatica non è come la lingua materna. Ognuno di noi ha con la sua propria lingua un rapporto particolare, molto profondo, essa diviene per noi carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. L’immediatezza dell’impressione che abbiamo con la nostra lingua non è replicabile con lingue apprese successivamente, a meno che non si viva nel luogo in cui la seconda lingua si parla e per un tempo sufficiente, cioè molti anni. Noi riconosciamo immediatamente e senza sforzo alcuno ogni minima sfumatura, inflessione, intonazione, accento della nostra lingua, anche quando vi è sopra il marchio di una regione o di una città (p.e. il napoletano, il milanese, ecc). Ma io non parlo però di un riconoscimento intellettuale, bensì quasi istintivo. Inoltre, la lingua non è solo un strumento di comunicazione come questo computer, ma è una sorta di placenta all’interno della quale noi viviamo e da cui siamo continuamente nutriti. Per fare un esempio banalissimo ma esplicativo, quando io in un film sento un attore che dice “ti amo”, queste due parole stimolano e accendono dentro di me tutta una serie di ricordi e di emozioni che mi appartengono intimamente e così possono farmi vibrare, come si suol dire, le corde dell’anima. Questo processo interiore che incrementa enormemente il godimento estetico e che viene risvegliato da quelle due parole non avviene quando sento “I love you”, “Ich liebe dich”, “Je t’aime”, e ancor meno se è detto in cinese, perché io con quelle lingue non ho un vissuto. Esse mi resteranno fatalmente estranee, remote, e mi lasceranno perciò freddo e distaccato. Ciò che accade è che la mia mente deve prima tradurre nella mia lingua quelle parole e questo passaggio puramente intellettuale le sterilizza, le svuota del loro potere emotivo e persuasorio, che è presente solo quando vengono recepite e decifrate immediatamente e automaticamente.
Queste sono le mie riflessioni riguardo doppiaggio e sottotitoli. A conti fatti, sono convinto che si perda molto meno con il primo che con i secondi.
8 dicembre 2020 - 10:44
L’ho comprato anch’io. Molto interessante ed anche ben scritto. Ce ne vorrebbero di giornali e riviste non specializzate a parlare così ampiamente di scacchi. Mi è tornato in mente il 1972, e precisamente un settimanale (forse L’Europeo?) con pagine di diagrammi che riportavano, mossa per mossa, le partite di Spassky e Fischer.
Molto carina anche l’idea della maxi scacchiera.
Benedetta Regina degli Scacchi………………………
8 dicembre 2020 - 14:23
Oggi un’intera pagina sulla “Stampa”!
C’è anche un’intervista al Business Director di Chess.com secondo la quale
ogni giorno 4.000 italiani si aprono un account, numero pazzesco
se pensiamo ai 15.000 soci FSI
8 dicembre 2020 - 15:53
A chess.com sono “svegli”. Hanno anche messo su un bot grazie al quale puoi “giocare” contro Beth Harmon a 8, 9, 10, 12, 17, 20 e 22 anni.
https://www.chess.com/news/view/play-beth-harmon
11 dicembre 2020 - 17:00
Nuovo articolo sugli scacchi pubblicato oggi da “Il Foglio”, scritto dal CM Nino Grasso.
Inserita immagine in questo articolo.
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