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Arthur Wellesley

Un uomo qualunque

La Sala della Gloria ritorna dopo lunga assenza. E lo fa in modo un po’particolare: non ci occupiamo di chi ha dedicato la vita agli scacchi, arrivando a sfiorare, ma, per diversi motivi, non a raggiungere il gradino più alto, quello del Titolo. “Scendiamo” la scala di parecchi gradini e ci troviamo a seguire la vita di unoscacchista qualsiasi, una vita che ho scoperto per caso, che mi ha prima incuriosito, poi conquistato e spinto a saperne di più e che infine mi piace dividere con voi .

L’ottocento, il “secolo della borghesia” è stato gentile, ma solo in cambio di grande determinazione e durissimo lavoro, con la famiglia Wellesley. Se l’inizio del XIX secolo li vedeva piccoli ciabattinidi provincia menanti una dieta composta principalmente da pane e cipolla, considerando la carne un lusso sfrenato degno del Natale, la chiusura del secolo li vede invece sì sempre nel ramo calzature, ma orgogliosi proprietari della Wellesley & C, un’industria ben più che discretamente avviata, capace di “calzare” una buona percentuale degli abitanti del Nord-Ovest dell’Inghilterra, partendo dall’industriosa Manchester.

Mancherster a cavallo dei due secoli…

Garret Wesllesly, il capofamiglia, alla notizia della gravidanza della moglie decise però di lasciare i lidi da dove la famiglia era rintracciabile sin, pare, dal XVI secolo (la borghesia aveva passato l’ottocento a prendere il posto della nobiltà nella scala gerarchica della nazione e nel contempo adassorbirne certi suoi gusti, quali quello per gli alberi genealogici….) per trasferirsi nella capitale, laGrande Londra. Il figlio primogenito, aveva deciso, non sarebbe stato un “provinciale”: sarebbe nato, cresciuto ed educato nel cuore stesso dell’Impero britannico.

…come pure la Capitale Londra

Trasferitosi quindi a Londra (immagino le remore della moglie a viaggiare a quei tempi mentre era in “dolce attesa”…) dopo qualche mese ebbe la sorpresa di trovarsi con…una figlia. Dovette aspettare ancora due anni perché Arthur Wellesley vedesse la luce il 19 marzo 1892, proprio in quel di Londra.

Nulla di particolare da segnalare nella sua infanzia, salvo un fratello minore nato morto, ma se ho fatto bene i conti doveva essere troppo piccolo per “accorgersi” della cosa. Durante quell’infanzia, non per caso, scopre gli scacchi: il padre era uno dei tanti che segue la massima “saper giocare a scacchi è sinonimo di eleganza, saper giocare troppo bene a scacchi è sinonimo di una vita sprecata”. In sostanza, il ragazzo un giorno avrebbe dovuto prendere in mano l’azienda di famiglia, certamente, non si cercava di farne un futuro campione (anzi! Che non pensasse di camparemuovendo pezzi di legno…) ma nell’educazione e formazione di un bambino prima e di un adolescente poi, gli scacchi non dovevano mancare.

Il ragazzo “ubbidì”: ottimo studente, economia per la prima cosa, ma non sfigurava nellediscipline umanistiche (aveva, caso per noi curioso, un forte interesse per la Storia d’Italia), “relegò” gli scacchi a puro hobby, assiduo, ma non troppo, frequentatore del Tartan Chess Club (a quanto mi par di capire, un luogo equamente diviso tra l’essere un Circolo Scacchistico e unPub). Come giocatore, amava divertirsi prima di qualsiasi altra cosa: nessun scacchista può dire di non dare importanza ad una sconfitta, ma lui, e del resto era lo spirito del tempo, preferivagambetti e controgambetti azzardati (e, vedremo poi, davvero in ogni occasione) al meticoloso e armonioso sviluppo dei pezzi che da ragionevoli certezze di vittoria: quasi preferiva “divertirsi” perdendo in 20 mosse che “annoiarsi” per vincere in 50. Sul livello di quelle partite impossibile saperne qualcosa, possiamo immaginarlo un giocatore di Club “medio” posto che questo possa significare qualcosa.

 Terminati in maniera più che soddisfacente gli studi superiori, Arthur si seppe distinguere al punto di aver garantito l’ingresso nell’Università di Cambridge, come sapreteprestigiosissima, trasferendosi al Corpus Christi College (dove gli alunni potevano godere di vitto e alloggio) nel 1910.

Il College in una foto d’epoca colorata al computer

Il percorso universitario, potete immaginare la Facoltà, Economia: che altro per il futuro Direttore della Wellesley & C ?, si svolse per quattro anni senza intoppi. Poi successe qualcosa di parecchio grosso: i lettori più preparati in Storia sapranno già a cosa dovettero assistere Arthur e gli altri membri del Tartan Chess Club quando il 4 agosto 1914 un loro collega entrò trafelato dalla lunga corsa ed annunciò: “Siamo in guerra contro la Germania!”. Per certe cose, gli anglosassoni sonoimbattibili: Arthur guardò il suo avversario e, con il tono di uno che sta parlando del tempo, disse: “Le notizie sopraggiunte credo mi impongano di sospendere la nostra partita”: un’ora dopo è in coda per arruolarsi volontario nell’esercito. Aveva 22 anni e nessuna preparazione militare, ma l’educazione e la cultura di cui disponeva in un periodo nel quale l’analfabetismo era un problema sensibile lo resero un soggetto discretamente prezioso: fece quindi rapida carriera e in breve si trovò sottufficiale di complemento presso la 38ma divisione di fanteria, parte del VII corpo, al comando del Tenente Generale Sir Thomas D’Oyly Snow

La notizia in prima pagina negli USA

La Prima guerra mondiale, per prenderla alla larga e fare un giro di parole, è stato unvergognoso carnaio. Una classe di generali (di ogni nazione) formata sui testi dell’ottocento del tutto impreparata all’impatto delle nuove tecnologie (mitragliatrici, bombe a mano, lanciafiamme) non seppe escogitare niente di meglio che buttare ondate su ondate di ragazzi a morire contro il filo spinato, falciati dal fuoco nemico e prendere provvedimenti draconiani (fucilazioni di massa) allaminima esitazione di quegli stessi ragazzi.

Gli effetti di un bombardamento su una trincea

Durante la guerra Arthur ebbe regolare corrispondenza con il cugino Raymond che, distribuendo “l’impegno famigliare” nello sforzo bellico, volava nei cieli francesi sui caccia della RAF. In questa corrispondenza si nota come l’entusiasmo iniziale si tramuti in stanchezza mano a mano che i mesi nel fango delle trincee si allungavano. Degli scacchi, per quanto ci riguarda, sappiamo che scrisse al cugino (mia solita impresentabile traduzione italiana dall’originale inglese) “Gioco, certo. Bisogna ben combattere la noia e tenere la mente sveglia. Ma, ti dirò, non mi riconosceresti: fatto è che dopo mesi passati a vedere lorsignor Generali mandare migliaia di uomini (tra cui, posso dire, il sottoscritto) a morire per un 200 metri scarsi di terra di nessuno, quando guardo il mio pedone di Re mi chiedo che diritto abbia di spedirlo al massacro alla seconda mossa…E non farmi parlare dei miei Cavalli: se la guerra continua un altro po’ estingueremo la specie, e il mio gioco, di riflesso, ne risente


Il “mezzo di lavoro” del cugino

Tra i pochi begli eventi di questo massacro in grande stile deve essere ricordata la Tregua di Natale del 1917: si iniziò con un fante tedesco che portò un albero di Natale (immaginiamo decisamente improvvisato) ai colleghi britannici. Da li a poco ci si scoprì, a poche centinaia di metri di distanza, a cantare le stesse canzoni in lingua diversa. Si usci dalle trincee, ci si strinse la mano, si scambiarono sigarette, si giocò persino a calcio. Si arrivò, forse, davvero vicino a capire che se il Re e il Kaiser avevano qualcosa da ridirsi, beh, che organizzassero un bel duello all’alba invece dimassacrare le rispettive gioventù….Le autorità militari di entrambe le fazioni videro ovviamente in tutto questo un incubo allucinante: chiunque fraternizzasse con il nemico era passabile difucilazione immediata (ricordo en passant che in Russia era appena scoppiata la rivoluzione comunista: di qualsiasi cosa parlassero i soldati dei due schieramenti tra di loro, i Generali non potevano pensare fossero argomenti tipo il tempo….). Fu un miracolo, ma finì: chi aveva giocato a calcio riprese a spararsi addosso. Arthur ci ha lasciato un commento su questa tregua che merita di essere riportato: “ Posso capire che [tutto questo] sia stato sbagliato, da un certo punto di vista. Nondimeno, è stato bellissimo”.

In piena fraternizzazione con il nemico: truppe tedesche e inglesi a metà strada tra le rispettive trincee

Il nostro ha quindi, letteralmente un altro miracolo, attraversato tutta la guerra senza un graffio o quasi. Durante l’offensiva di primavera tedesca del 1918 “decide” di farsi ammazzare. Mi spiego. Dopo un fallito assalto britannico alle trincee tedesche la terra di nessuno è piena di feritiche invocano aiuto (dei ragazzi…Il grido più ricorrente, non qui, in tutta la terra di nessuno di tuttala guerra è stato “Mamma!”), che soffrono terribilmente. Nel settore di Arthur un paio di nidi tedeschi di mitragliatrici ben piazzati rendono suicida anche solo l’idea di affacciarsi dalla trincea a dare un’occhiata… Dopo un paio d’ore passate a sentire i compagni e gli amici urlare tutto il loro dolore (e dopo 4 anni di guerra, di assalti, di rancio improponibile, di bombardamenti di artiglieria, di fango, di scontri alla baionetta, di morti…) Arthur decide che ne ha abbastanza: afferra un grappolo di bombe a mano e da solo si lancia all’assalto dei nidi tedeschi. Non mi chiedete come, riesce a sopprimerli entrambi. Dopodiché si dedica, ora coperto dal fuoco dei suoi, a riportare indietro i compagni feriti. Ne trasporta uno, due, tre, quattro, andando avanti e indietro dalla trincea alla terra di nessuno sotto il fuoco nemico. A questo punto un cecchino tedesco decide che va bene così: Arthur Wellesley viene colpito alla testa e resta immobile sul campo di battaglia.

“Poteva andare peggio…”

Al suo risveglio si ritrovò in un ospedale militare nelle retrovie. Scoprì di aver perso l’occhio sinistro e due dita della mano sinistra (fingendomi esperto di balistica tiro ad indovinare che stesse strisciando e che istintivamente si stesse riparando la testa, tutto questo se parliamo, e non lo so, di un unico proiettile) e di averci guadagnato in cambio la Military Cross, il terzo livello di onorificenza nell’esercito britannico. Ben più importante, guadagnò la presenza dell’infermieraTeresa Neele. Tutti i soldati in qualche modo “corteggiano” le infermiere, fa parte, possiamo dire, delle “regole del gioco”. Ma in quel caso, fu rapidamente chiaro che i due si erano davvero trovati: le ferite alla testa necessitano di lunga degenza e Arthur ebbe quindi modo di trovarsi ancora a letto quando infine l’Inghilterra poté dichiararsi vincitrice della guerra. A portargli l’annuncio dell’armistizio non fu la sua infermiera: fu la sua fidanzata.

Un moderno esemplare della medaglia

Il dopoguerra fu, in competizione con gli anni universitari, il periodo migliore della sua vita. Ilmatrimonio si rivelò felice (unico neo: la mancanza di figli, molto desiderati), Arthur, eroe decorato, passava il tempo tra la moglie, il lavoro nell’azienda di famiglia e il vecchio Tartan Chess Club. Giocò con più costanza e voglia di migliorarsi rispetto ai primi tempi. Pur tornando, finalmente i pedoni e i pezzi non ricordavano più le loro controparti umane quando venivano sacrificati, al suo stile di “gambetta che ti controgambetto”, il suo gioco nel complesso diventò più solido. Per la metà degli anni venti possiamo parlare di lui come un rispettato giocatore locale, con “in curriculum” diversi successi nei tornei minori inglesi.

Dopo esserci, doverosamente, persi nei dettagli della Grande Guerra, ora la sua biografia (è chiaro a tutti che non esistono qui le fonti che esistono per un Paul Keres…) si “allunga”. Famiglia, lavoro, scacchi, gli anni passano: arriva, per noi scacchisti, l’evento principale: nel 1926 il Campione del Mondo José Raùl Capablanca è di passaggio a Londra (il grande cubano allora risiedeva negli Stati Uniti), intenzionato, tra le altre cose, a dare qualche simultanea nei Circoli locali. Per Arthur fu subito chiaro che non poteva mancare: era l’occasione di una vita!

Capablanca impegato nella specialità 2 anni dopo, sempre in Inghilterra

Nel ben noto Simpson’s di Londra, il Campione del Mondo di Scacchi era pronto, l’8 settembre 1926 a fare del suo meglio conto 30 determinati avversari. Il protagonista di questa storia era tra loro. Capablanca, contro di lui, mosse 1.d4. Bene. 1…d5. Finito il primo giro ecco il cubano ritornare 2. c4. Immagino facilmente il nostro aver passato ben più di una notte insonne decidendo come affrontare la sfida: alla fine dovette decidere di essere se stesso. Probabilmente doveva avere sia il timore di fare una fine rapida e dolorosa sia quella di offendere l’ospite ma tant’è 2…e5:Controgambetto Albin e mossa al bianco! (forse esagero io, oggi con Rybka &Megadatabase installati, a pensare dei timori del nostro: a giocare questa mossa per noi da ?!, al meglio, è pur stata gente del calibro di Alekhine e Lasker, subendola, vi era stato battuto…). Dopo 26 mosse, detto chiaro e tondo, Capablanca ha perso. Sotto di 2 qualità (!) Arthur ha giocato la partita della vitae ha a disposizione un matto forzato. Non lo vede? Non ci può credere? E’ sicuro di essersi persoun’intermedia devastante? Sta giocando contro José Raùl Capablanca in nome del Cielo! E’fatta, è lampante, ma…il suo Re non è sicurissimo, sotto di materiale, ha entrambi i cavalli in presa, uno con attacco proprio alla Donna… José Raùl Capablanca! Alla fine la scelta è per 26…Ad5: abbandonerà alla mossa successiva.

 

Il momento della caduta dei nervi

 Arthur non vede la mossa vincente.

Finito l’evento (per cronaca Capablanca tornerà negli USA con un +27 =3 -0), il Cubano gli si avvicina (a lui tra tutti!) e gli spiega come “sarebbero dovute andare le cose”. E’ di nuovo la corrispondenza con il cugino che ci viene in aiuto: “Ovviamente sono, lasciami dire, arrabbiato per la sconfitta, non in quanto tale, giocavo contro il Campione del Mondo capisci bene, ma per non aver visto l’ovvio quando andava visto. Ma, in ogni caso, il mio dispiacere più grande è per il dopo: il Signor Capablanca mi ha fatto l’onore di analizzare con me (meglio dire, mi ha spiegato) il modo in cui avrei dovuto vincere: tanta era l’emozione del parlare con lui che temo debba aver avuto l’impressione di aver rischiato di perdere contro un ritardato, talmente poco mi riusciva di esprimermi decentemente di fronte alla sua presenza. Questa partita resterà un mio rimpianto per la vita, quanto ai posteri ai quali tu accenni posso immaginare, e per fortuna, che non ne resterà traccia”. Scusa, Arthur…

Gli anni riprendono, per noi, a passare velocemente: Arthur ormai è un uomo maturo, 38 anni all’alba del nuovo decennio degli anni ’30, si occupa sempre più dell’impresa di famiglia, alla quale tutti devono fornire il massimo supporto, a causa della devastante crisi economica che, scoppiata in America l’anno precedente sta investendo il vecchio continente. Per la famiglia è una grande botta, ma se la caveranno meglio di milioni di altre persone e, seppur a ranghi ridotti, la ditta continuerà la sua attività. Come scacchista, sembra esaurita la passione per i tornei nell’Inghilterra meridionale, lo troviamo solamente al Circolo, ormai socio ventennale.

La tragedia della sua vita inizia proprio una sera di ritorno dal circolo: è il 1 settembre 1932.

Arthur Wellesley aveva fatto tardi al Circolo, è stato l’ultimo ad uscire. Di ritorno a casa, si stupisce di non essere accolto dagli amorevoli rimproveri della moglie, come ogni volta che rincasava tardi. Convinto sia andata a dormire prima del solito, va in salotto con l’intenzione di versarsi un brandy. Lì trova la moglie. Morta.

Le indagini della polizia conclusero si fosse trattato di omicidio: la donna era stata colpita alla testa con un oggetto contundente. Ora del decesso, tra le 22:00 e le 23:00. Se come uomo e marito eradistrutto, come sospettato (ha scritto giustamente George Orwell che ogni volta che viene commesso un delitto il primo sospettato è il coniuge, il che dovrebbe farci capire che cosa in realtà sinceramente pensiamo del “Sacro vincolo del matrimonio….) poteva dirsi sereno: si trovava al Circolo.

Ma, al processo, Charles Grey, che era il solo rimasto in sua compagnia nell’ultima parte della serata, a sorpresa affermò di non poter affermare con certezza la presenza di Arthur fino a tarda ora, aveva anzi dei dubbi che non si fosse trattato di un’altra serata, uno o due giorni prima. Ora. Niente segni di scasso, apparentemente nessun bene trafugato e un marito con un alibi traballante: c’è lo spazio per evitare la forca, ma appena: nel 1933 Arthur Wellesley venne condannatoall’ergastolo per omicidio di primo grado.

Il carcere di Reading oggi

(dove Arthur scontò la sua pena, lo stesso che “ospitò” Oscar Wilde)

La prima conseguenza la subisce la madre: già malata da tempo la notizia per lei è troppo forte:muore, in pratica di crepacuore, 2 mesi dopo.

Ho scritto più su che per certe cose gli anglosassoni sono insuperabili, per altre però sono pessimi:improvvisamente sembra non aver mai avuto, non dico un amico, ma un conoscente in vita sua.Scompaiono tutti, peggio che se avesse avuto qualcosa di contagioso. L’unico con il quale continua a sentirsi è il cugino, che nel frattempo ha preso la gestione della ditta, con il quale riprende lo scambio epistolare del tempo di guerra. Si professa innocente, dice di trovare inconcepibile un simile destino.

Il “destino”, però, deve ancora muovere qualche pezzo: 3 anni dopo la condanna un Charles Gray apparentemente distrutto dall’abuso di alcol si presenta alle forze dell’ordine: la sera dell’omicidio della moglie Arthur Wellesley era assolutamente, certamente,inequivocabilmente, al Circolo assieme a lui, almeno sino alle 23:15.

Alla domanda sul perché al processo testimoniò di non poter essere sicuro al riguardo, rispose che aveva, semplicemente, mentito. All’ulteriore domanda sul perché avesse mentito su una cosa cosìimportante, Gray riuscì a biascicare qualcosa che suonava come “Gambetto Irlandese”.

A, dei presumo allibiti funzionari, riuscì in qualche modo a spiegare che per Gambetto Irlandese si intende quella che è forse la peggiore apertura di scacchi concepibile, “sacrificando” un cavallo in cambio di che cosa lo sa solo il Bianco. Ebbene, Arthur Wellesley lo aveva battuto 7 (!) volte con quel gambetto. Così al processo la memoria gli aveva fatto cilecca, per “dargli una lezione”.

Allucinante. Meglio non commentare neppure. Charles Gray si impiccherà 3 settimane dopo, mentre era in attesa del processo per falsa testimonianza. A titolo di cronaca, l’omicidio di Teresa Neele-Wellesley è insoluto ad oggi.

Arthur venne quindi scarcerato nel 1936, ma la sua vita non poteva ripartire come nulla fosse. Per certe cose gli anglosassoni sono davvero pessimi: per il loro gusto tutto questo era decisamente troppo “imbarazzante” da gestire. Amicizia tradita, mancanza di fiducia, in molti preferironodimenticare tutta la faccenda come se un Wellesley non fosse mai neppure esistito.

Un uomo di 44 anni, solo, che ha perso in maniera incomprensibile la donna che amava e tutti gli amici. Scompare letteralmente dalla Storia per questo periodo, una sorta di “ombra” con, pare, ilwhisky come “miglior amico” nelle lunghe serate solitarie.

Domande?

Per ritrovarlo, è necessaria una nuova guerra mondiale. Il 3 settembre 1939 Inghilterra e Germania sono di nuovo in guerra tra di loro. A presentarsi in coda come volontario non è più un brillante 22enne, ma un uomo di 47 anni cieco da un occhio, con due dita in meno edevidentemente male in arnese. Lo ringraziano, ma lo rimandano a casa.

La guerra inizia malissimo per gli Alleati. La guerra lampo tedesca occupa la Francia in un mese e il corpo di spedizione britannico riuscì a stento ad evitare la cattura con il rocambolescoimbarco a Dunkerque, al prezzo di lasciare indietro tutto il materiale pesante. A difendere l’isola dalla temutissima invasione nazista ci sono solo 300.000 ragazzi male armati.

E Arthur Wellesley si ripresenta allora come volontario: ma questa volta è un’altra persona: indossa la sua divisa della I guerra mondiale, con appuntata bene in vista la Military Cross. Al giovane che cerca di spiegargli che proprio non sembra in grado di fare il soldato Arthur fa un discorso memorabile: che nel 1917 sulla Somme c’erano due tipi di ragazzini, quelli che ascoltavano quello che lui diceva e quelli che non duravano più di due settimane: lui che tipo di ragazzino voleva essere? Che l’Inghilterra ha bisogno di tutti, che non pretendeva di essereparacadutato su Berlino, ma che, perDio, avrebbe fatto la sua parte quale che fosse stata. Per l’Inghilterra, ancora una volta.

Spazzato via da questo fiume in piena il “ragazzino” chiese lumi al suo superiore. Il quale capì che in quell’ora nera tutti potevano e dovevano dare una mano. E Arthur era uomo d’esperienza: gli fu affidato il compito di addestrare i miliziani (civili privi di pratica di guerra), facendone per quanto possibile una forza combattente.

Chiaramente non dei professionisti. Ma determinati

Rinasce. Il compito gli piace e, soprattutto, dopo tanto tempo si sente utile, vivo. Al cugino scrisse “In un momento così difficile per la Nazione, ho quasi vergogna ad essere felice. Ma se potessi spiegarti cosa vuol dire per me svegliarmi la mattina con dei problemi da affrontare, delle decisioni da prendere, andare a letto la sera sapendo di aver fatto qualcosa… Mi guardo allo specchio e, capisci che mi sembra incredibile?, mi rendo conto di esistere”.

Parole bellissime, degne di farci da commiato dalla sua vita. Ma qui siamo scacchisti e allora lo lasciamo concentrandoci invece su di un piccolo poscritto qualsiasi sparso in una delle sue tante lettere: “Incidentalmente, ho anche ripreso a giocare a scacchi: sanno ostinarsi ad essere un qualcosa di meraviglioso”.

A questo qualsiasi dilettante, la sorte assegnò un fato, per noi, particolare: morì a Londra il primo luglio 1944 a causa di un attacco di V2 tedesche. La stessa fine che, solo una settimanaprima, sempre a Londra, aveva fatto la Campionessa del Mondo Vera Menchik.

Bibliografia

Fredette, Raymond H., Playtime in the trenches: soldiers hobbies in First World War

Hooper, David & Whyld Kenneyh, The Oxford Companion to Chess

Liddel Hart, Basil H., La Prima guerra Mondiale

Schonegarten, Stefan, English club players: The early 1900

Winter, Edward, Kings, Commoners and Knaves: Further Chess Explorations

“Sitografia”

chesshistory.com

9 Commenti a “Arthur Wellesley”

  1. Maelstrom
    2 aprile 2019 - 03:00

    Bellissimo articolo… Ma anche questa storia era un pesce di Aprile? Non trovo nessun riscontro.

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