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Quando scacchi e vino si incontrano

Un’altra riflessione di Andrea Loi, con un originale accostamento tra scacchi e vino!

Questa riflessione nasce da uno scambio di idee avvenuto con Gianfranco Gennaro, fondatore di Awair (società di consulenza di livello internazionale che si occupa di “Talent Management”), il quale con poche parole ha scatenato una catena di pensieri che condivido con il lettore.

Cos’é che si é sempre sviluppata nel tempo evolvendo in più forme che mantengano inalterata una componente essenziale? Lo stupore ed ammirazione di fronte alla bellezza.

L’arte o il bello in generale parlano una lingua propria con un alfabeto univoco che deve essere studiato. L’evoluzione all’interno del bello ci permetterà l’accesso a più stadi di comprensione che riveleranno con ancora più efficacia e stupore la loro grandezza. Quando scopriamo qualcosa di nuovo, la prima sensazione che esprimiamo è la meraviglia, lo stupore, restiamo quindi come i bambini piccoli, impariamo a riconoscere il bello sapendo che ci vuole tempo e pazienza per vivere.

Per confermare quanto espresso finora mi voglio soffermare sull’intreccio fra arte e passione nel mondo degli scacchi e del vino.

Riprendiamo una partita recente, la Karjakin – Caruana del 2012. Sono un “feticista“ degli alfieri e attraverso un paio di diagrammi osserviamone la precisione:

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Tutto era già stato assaporato da Fabiano e quando Karjakin gioca 26. g4 ( Fig. 1 ), quello che ne segue é magistrale. Come la mente sia capace di organizzare il pensiero in modo così efficace in una singola disciplina è stupefacente. Questa partita di scacchi é, tuttavia, comprensibile da chiunque abbia messo piede in un circolo di scacchi per qualche mese. Giocare a scacchi é molto difficile, non lasciamoci ingannare dalla nostra conoscenza che, ancorchè effimera per i grandi campioni, ci dà padronanza nel mondo comune. Il mio obiettivo é uno: far sedere allo stesso tavolo più persone possibili. Maggiore sarà la nostra comprensione nel gioco, più efficace sarà il mio messaggio e sarete tutti d’accordo nel confermare come questa partita sia almeno piacevole e meritevole di attenzione.

Proseguiamo con un altro momento chiave:

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Il bianco ha appena giocato ( Fig. 2 ) 30. Tg1 dando al nero la possibilità di sacrificare la seconda torre giocando 30. ..Txe3 ! Se l’obiettivo di questo articolo vuole essere la lettura diffusa e quindi rivolto ad un pubblico più ampio, non é ancora il momento di dilungarsi in varianti perché quelle necessitano di conoscenza. Come interessare entrambi i mondi: gli scacchisti e i non scacchisti ? Ci verrà in aiuto il vino quando faremo le stesse analogie di percezione.

Veniamo alla conclusione della partita:

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Il bianco abbandona dopo che il nero gioca 36. … Cf8 ( Fig. 3 ). Per un principiante non sarà affatto chiaro il motivo e lo vediamo nei circoli quando insegniamo ai bambini a non abbandonare mai perché l’avversario deve dimostrare di saper vincere. In questa partita il livello è talmente alto che fra di loro i giocatori lo sanno. Ma cosa sanno ? Gli scacchisti hanno sviluppato la capacità di prevedere gli eventi che succederanno sulle 64 caselle. Attraverso delle regole, quindi con un linguaggio comune e universale, la scacchiera e i pezzi posizionati in un preciso modo parlano una lingua comprensibilissima ricca di sfumature complesse. Il privilegio di poter comprendere l’ultimo diagramma non ha prezzo. Immaginiamo di poter padroneggiare con dimestichezza una nuova lingua, come il francese, l’inglese, il russo, il cinese o l’arabo. Un nuovo mondo fatto di comunicazione, relazioni, opportunità, gioie, dolori, sofferenza e sacrificio. Quanta fatica nel comprendere una nuova cultura, diversa, estranea, difficile. La ricompensa viene anche nel poter ridere di uno spettacolo comico, nell’emozionarsi di fronte ad una canzone, nell’amare una donna o un uomo di un’altra cultura. Gli scacchi parlano la loro lingua che ricompensa la nostra mente con un potere incredibile. Facendo una piccola digressione mitologica, possiamo dire che gli scacchisti hanno ben incarnato il mito di Prometeo. L’uomo nasce per mano sua, modellato dal fango ed animato dal fuoco divino, riceve in dono l’intelligenza e la capacità di prevedere, oltre che la memoria. Tutte qualità che attraverso il gioco degli scacchi si affinano e si evolvono. Il giocatore ha quindi una percezione della realtà che lo circonda diversa, parla una lingua in più ed ha accesso ad informazioni che altri non hanno. Ci basta applicare le stesse regole, lo stesso rigore, la stessa dedizione e lo stesso sacrificio in un’altra disciplina per vedere come questa lingua universale sia “episteme”.

Negli scacchi spesso l’eccitazione si é trasferita dall’estetica, che è esterna, visiva, uditiva, alla comprensione che è un puro processo mentale quindi interno. Non c’è modo di mostrare la nostra conoscenza a qualcuno senza fare qualcosa, sia esso suonare, dipingere, giocare a scacchi, quindi il primo impatto sarà sempre estetico. La comprensione tuttavia é un processo interno, silenzioso o involontario. Di fronte ad un dipinto gli occhi aperti saranno in grado di percepire la tela anche contro la nostra volontà, per il suono é la stessa cosa.

Purtroppo non é la stessa cosa per gli scacchi, anche se inconsciamente cerchiamo anche il bello estetico. Ci piace giocare su una bella scacchiera, ci emoziona giocare su una scacchiera importante e quando siamo seduti a Mosca sulla stessa scacchiera di Karpov e Kasparov non possiamo non provare commozione.

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Che emozioni gli scacchi!

Come collegare tutto questo al mondo del vino?

Per farlo ho bisogno di cambiare dizionario e lingua, perchè se gli scacchi ne parlano una meravigliosa muta, la lingua del vino ha un’ espressione estetica percepibile da ben tre sensi che sono i primi canali della veicolazione del piacere. Questo é principalmente il motivo per cui al mondo, ogni giorno, ci sono più bottiglie di vino bevute che partite giocate a scacchi.

Una ricordo molto vivo per me é un giorno del passato agosto trascorso in compagnia di Gerard Gauby, visionario del mondo della viticultura, a Calce nel Roussilion nella Francia profonda, non lontana dalla Spagna, visibile in una giornata serena. Quest’uomo é riuscito a creare un micro-ecosistema che si autoalimenta e si protegge autonomamente. Anche dove acqua non c’é. Visitare le sue vigne e vedere tanta terra bruciata giusto di fianco é stato emozionante dal punto di vista educativo. Gerard gestisce la sua vigna con il solo aiuto della natura, ha piantato una foresta intera che si preoccupa di proteggere le vigne dal vento, dal sole. Piante da frutto specifiche che attirano gli insetti e li tengono lontani dalla vigna. Canali di drenaggio fatti dal pioppo che funzionano molto meglio di qualsiasi lavoro dell’uomo. Il suo vino è una poesia nella perfezione che raggiunge in un territorio estremo come quello. Una frase lo identifica: “se non vedo il fondo del bicchiere non mi piace”. La Muntada è un vino che spero ogni donna ed ogni uomo possano bere almeno una volta nella vita per la grandiosità che ha raggiunto. Una profondità negli aromi e una qualità infinita nei profumi percepibili sia al naso che in bocca. Un attacco fresco, una lunghezza infinita per quello che è uno dei vini più importanti prodotti in Francia e nel mondo. Un vero privilegio condividere la sua storia nel rispetto della natura e del prossimo perché è giusto anche se meno profittevole. Una scelta di vita di tante persone e di tante grandi piccole cantine in Italia. Mi piace, inoltre, parlare di Alessandro Viola, un uomo vero ad Alcamo, in Sicilia che, come Gerard, ama la natura che lo circonda. Due nomi meno conosciuti fra i più grandi, ma che di grande hanno un vino meraviglioso.

Che emozione il vino!

Queste due passioni mi accompagnano da tanti anni e queste emozioni hanno generato una delle più forti esperienze che abbia mai vissuto finora. Grazie ad Andrey Filatov, proprietario di Art Russe e a Natalia Vremea, export manager, con cui condivido un’esperienza professionale sul vino, ho potuto giocare a Berlino durante il torneo dei candidati al campionato del mondo di scacchi.

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Mi sono seduto sulle stesse sedie dei grandi campioni, assaporando le stesse emozioni di condividere un luogo importante dal punto di vista emotivo che è inarrivabile dal punto di vista tecnico. Il vino mi ha ricondotto prepotentemente verso la mia passione di bambino, quella in cui le ore spese a studiare scacchi con Andrea e Francesco La Manna e Mauro Boffa hanno arricchito la mia esistenza dandomi accesso ad una vita piena. Tutto questo è sempre stato alimentato dal desiderio. Quell’energia, quel combustibile necessario della passione che ci spinge a volerne sapere sempre di più. Sono certo che questo sia l’alimento principale di ogni successo.

Si apre un piacevole capitolo e dibattito sul desiderio, che eventualmente verrà condiviso con il lettore in futuro.

Andrea Loi

19 Commenti a “Quando scacchi e vino si incontrano”

  1. Angelmann
    16 settembre 2019 - 18:29

    Ho sempre costeggiato con piacere entrambi i mondi, gli scacchi e il vino, tuttavia con momenti molto lontani dall’evidente bellezza di quelli che ci hai raccontato. Mai stato al circolo di Mosca o al torneo dei candidati, mai assaggiati e mai sentiti nominare i vini del Domaine Gauby (appena cercati in rete), che sembrano promettere straordinarie esperienze che dubito mi riuscirà di provare. Con il Bianco d’Alcamo ho una lunga frequentazione ma non credo di aver mai bevuto un vino prodotto dalla Cantina Aldo Viola. Quando ho cercato di capire qualcosa del mondo del vino, fermandomi ai primi rudimenti, ho compreso in breve tempo quanto le aziende produttrici fossero enormemente più rilevanti del “nome”. E nonostante qualche buon Brunello o Barolo nulla eguaglia il magnifico Barbera appena spillato dalla botte che ho bevuto nella cantina del padre di un collega dell’epoca.
    La partita cui accenni è probabilmente la più bella mai giocata da Fabiano, una perla meravigliosa, ma qui è vero che il senso di bellezza richiede la comprensione del linguaggio scacchistico. Nonostante vista, olfatto e gusto sembrino garantire accesso ad un buon vino anche qui la crescente capacità di percezione fruisce moltissimo delle progressive esperienze personali, di un affinamento dei propri sensi.
    Sulla percezione della bellezza un piccolo episodio: come molti sapranno, Jane Goodall ha trascorso decenni con gli scimpanzé di Gombe, una lenta frequentazione per farsi accettare e seguirli quotidianamente, a lungo da sola o quasi, pian piano con grandi progetti sorti dal suo lavoro. In uno dei suoi libri (il secondo, “Il popolo degli scimpanzé”) racconta di una occasione in cui vide lo scimpanzé che stava seguendo fermarsi ad osservare un magnifico tramonto, un tripudio di colori. Lo scimpanzé restò fermo a guardare per una quindicina di minuti!

    Pezzo che mi lascia una splendida sensazione, che faccio fatica a delineare, un chiacchierare piacevolissimo che nel percepire la bellezza la trasmette. Bravo davvero e grazie!

  2. IrishGambit
    18 settembre 2019 - 00:54

    Piacevole riflessione su mondi di cui, purtroppo, sono un totale novizio.

    Posso solo notare un’affinità, sia pur superficiale, fra scacchi e vino, nel ricordarci entrambi un mondo in cui il legno e non la plastica era il materiale per eccellenza. Il piacere di muovere e giocherellare con pezzi di legno su una scacchiera del medesimo materiale, e il rumore delle figure appoggiate su nuove caselle, danno sensazioni assai diverse dal trascinare puntini colorati col mouse. E anche la raffinata scacchiera della sfida dei due K esprime una ben più potente “aura” rispetto ai vari visori di Chessbase con cui possiamo rigiocare le partite dei due titani.

    Anche nella nostra epoca dominata dalle immagini, il piacere estetico di prodotti materiali ben fatti, siano essi pensati per essere manipolati oppure bevuti, è ancora ben vivo e presente.

    Sul piacere estetico mentale che deriva dalla comprensione profonda di una partita devo ahimé alzare bandiera bianca. Il mio talento ma soprattutto il mio poco impegno mi costrige ad apprezzare solo gli aspetti più superficiali del gioco, o al più mi permette di stupirmi a posteriori, quando il solito motore mostra in modo esplicito la raffinata combinazione “sottintesa” che ha deciso una partita di vertica. Del resto il Grande Maestro Gregory Serper, nel suo articolo intitolato “Why Study Chess?”, dichiara che già solo l’apprezzamento estetico per le combinazioni avanzate è un motivo sufficiente per intrapredere lo studio degli scacchi anche per chi non ha intenzione di diventare professionista.‎

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