Profondità
Il blog Uno Scacchista ha pubblicato un articolo dal titolo “Profondità” di Uberto D. Ritenendo l’articolo interessante, la Redazione ha deciso di pubblicarlo integralmente anche su Scacchierando e ringrazia Uberto Delprato (autore del Blog) per l’autorizzazione concessa.
“Giocare a scacchi è come gettare lo sguardo su un enorme mare aperto; giocare a dama è come esplorare un pozzo senza fondo”
Questa frase di Marion Tinsley, il più grande giocatore di dama di tutti i tempi, mi ha colpito molto, perchè racchiude la passione e la sofferenza, la sfida e il tormento di una mente alla ricerca di se stesso in un gioco.
Lo statunitense Tinsley fu il primo campione di uno dei tre principali giochi da scacchiera (dama, scacchi e go) ad essere sfidato da un programma. Si trattava di “Chinook”, creazione del prof. Jonathan Schaeffer dell’Università di Alberta (Canada), che nel 1990 acquisì il diritto a giocare un match per il titolo di Campione del Mondo arrivando secondo, dietro proprio a Tinsley, nel torneo di qualificazione. Il match, che dovette essere rinominato “Campionato del Mondo Uomo contro Computer” a causa del rifiuto di Tinsley di mettere in palio un titolo riservato agli uomini, vide la macchina soccombere nel match al meglio delle quattro vittorie (+4, =33, -2 a favore di Tinsley).

Marion Tisley (Foto di Mark T. Foley)
Il risultato non fu una sorpresa, visto che TInsley era il dominatore assoluto della dama mondiale: nei suoi 45 anni di carriera perse solamente 7 partite (incluse le due perse con “Chinook”). Solo la malattia che lo avrebbe portato via in breve tempo permise a “Chinook” di vincere il match di rivincita del 1994 per abbandono dell’avversario, dopo 6 partite patte. La “macchina” vinse il match, senza però battere l’uomo. Il prof. Schaeffer continuò a lavorare sul suo algoritmo, fino a quando, in un famoso articolo scientifico del 2007, potè dichiarare che “La dama è un gioco risolto“.

Tinsley e il prof. Schaeffer nel match del 1994
Immaginare cosa la dama possa essere stato per Tinsley, matematico di professione ma damista per scelta, è per me molto difficile. Tornando alla frase iniziale, credo che la sua visione del gioco come ricerca di una visione profonda spieghi bene uno degli aspetti dei “Giochi della Mente”.
L’altro aspetto sta proprio nella prima parte della sua frase: l’ampiezza della visione, tipica degli scacchi. Da quando anche gli scacchi hanno visto un Campione del Mondo dominatore assoluto come Kasparov battuto da una macchina (Deep Blue), la superiore capacità di visione strategica dell’uomo è stata messa in discussione. Non tanto per la prima vittoria in una partita (nel 1996, ma Kasparov vinse comunque il match) né per la vittoria nel match del 1997, ma per il progressivo e inesorabile miglioramento delle capacità dei programmi scacchistici che oggi rende perfettamente inutile organizzare incontri tra “macchine” e “umani”: il risultato è scontato.

Kasparov-Deep Blue 1997 (GettyImages)
A conferma di quanto affermava Tinsley, fino a quando c’è stata partita sono sempre stati gli aspetti strategici di lungo termine quelli che hanno garantito all’uomo una qualche speranza di sopravanzare la macchina: la vastità del “mare degli scacchi” ancora nascondeva dietro l’orizzonte possibilità intuibili dall’uomo ma non calcolabili dalla macchina.
L’impatto dell’intelligenza artificiale sugli scacchi, prima con AlphaZero e recentemente con Leela Zero, è ancora da valutare, ma, come ha anche confermato Carlsen proprio ieri nella intervista dopo la sua vittoria contro Giri al Memorial Gashimov 2018, “L’Intelligenza Artificiale non cambia nulla: già adesso usando un qualunque programma un qualsiasi principiante ci considera come giocatori scarsi“. Affermazione amara e un po’ esagerata, ma che contiene una considerazione molto semplice: il gioco degli scacchi, ancorché ancora non risolto come la dama, non è più un gioco nel quale gli uomini possano dimostrare una qualche superiorità rispetto al computer. Se ancora ci appassioniamo agli scacchi è per la loro componente umana, per l’aspetto competitivo tra talento, preparazione e solidità psicologica: tutte caratteristiche “umane” degli scacchisti, che accomunano tutti noi che ci sfidiamo sulle 64 caselle.
Ed è a questo punto che il Go entra nel mio ragionamento. Nell’eccellente documentario “AlphaGo“, viene ripetuto spesso l’aspetto altamente psicologico e personale del gioco. “La tavola del Go rispecchia l’individuo che sta giocando.” e “La verità si mostrerà sulla tavola. Non riuscirai a nasconderla.” sono due frasi di giocatori e allenatori di Go citate nel film che puntano non sugli aspetti tecnici, strategici o competitivi, ma su quello che è necessario per eccellere nel gioco: onestà verso se stessi, capacità di essere equilibrati e vincenti prima come individui e poi come giocatori.

Il match Lee Sedol – Alpha Go, 2016
Nel match del 2016 contro Lee Sedol, di nuovo un Campione nettamente superiore a tutti gli altri giocatori al mondo, contro una “macchina” abbiamo assistito alla dimostrazione di come AlphaGo, un prodotto che appartiene alla categoria dell’Intelligenza Artificiale, abbia progressivamente “spezzato” l’avversario umano toccando proprio le corde più intime della fiducia nei propri mezzi. Il documentario, che vi consiglio caldamente di vedere se non lo avete ancora fatto, è molto toccante nella sua descrizione quasi crudele della sofferenza psicologica di Lee Sedol. Il coreano ha dovuto attraversare un percorso doloroso che mi è venuto spontaneo paragonare alle sette fasi dell’elaborazione del lutto: la sorpresa, la negazione, la ribellione, il tentativo di comprensione, la depressione, l’accettazione e, infine, la speranza.
Il Go non è affatto un gioco risolto e Lee Sedol, come d’altra parte Kasparov dopo la sconfitta con Deep Blue, ha continuato a vincere competizioni, forse dimostrando addirittura una ancor maggiore superiorità, ma a questo punto, se pur in diverse versioni, le “macchine” ci hanno superato in profondità (calcolo), ampiezza (visione strategica) e comprensione (intuizione). Ci resta ancora qualcosa?
Abbiamo scacchisti che si cimentano con la dama (Ivanchuk) e con il Go (Morozevich), ma non abbiamo più nessun uomo in grado di competere con il computer. Il pensiero consolatorio che siamo stati noi uomini a creare le macchine e che siamo noi uomini a migliorarle, non tranquillizza: la strada è tracciata e se oggi non c’è chi possa solo immaginare di competere con le macchine (robot) in termini di velocità, potenza e resistenza, nei tre giochi che rappresentano l’eccellenza del pensiero umano la competizione con le macchine (computer) è già persa. E l’abbiamo persa nel giro di solo qualche decina di anni dalla creazione del “motore scacchistico su carta” di Turing.

Forse ci rimane quello che suggerisce Kasparov nel suo ultimo libro “Deep Thinking: Where Machine Intelligence Ends and Human Creativity Begins“: la scelta cosciente di affiancarci alle macchine, utilizzarne le capacità indirizzandone gli sforzi e creando strutture e processi all’interno dei quali la loro forza risulti funzionale agli obiettivi dell’uomo. Se avete tempo e voglia, guardate l’eccellente intervento di Kasparov al TED: “Non abbiate paura delle macchine intelligenti: lavorate con loro“.
Può darsi sia un suggerimento giusto, anche se lo reputo di respiro limitato perché qualunque attività di alto livello l’uomo avrà concepito e realizzato potrà essere aggiunta alle capacità delle “macchine”, spostando via via verso l’alto la linea al di sotto della quale la “macchina” sarà in grado di ottenere risultati migliori rispetto a quelli dell’uomo.
Senza ricorrere alle immagini tipiche della fantascienza, forse le macchine si evolveranno per essere in grado di comprendere l’essenza del mare che, vasto o profondo che sia, sapranno modellare e adattare ai loro disegni: speriamo che siano anche i nostri disegni.




3 maggio 2018 - 09:51
Non capisco questo interesse per la competizione fra uomo e macchina nei giochi dell’intelletto. Non ho mai visto nessuno disperarsi perché Usain Bolt corre più lento di una moto da corsa. Fondamentalmente non capisco cosa me ne dovrebbe fregare se il computer gioca meglio di me o addirittura di Carlsen. Sarà lecito lamentarsi quando le macchine ci vieteranno di giocare a scacchi. Una discussione di decenni su una questione senza senso.
3 maggio 2018 - 10:34
Non sarà interessante per tutti, comunque il nocciolo non è la competizione uomo-macchina in sè, ma piuttosto l’evoluzione delle macchine che emulano il modo di pensare degli umani.
La competizione è il mezzo per attirare interesse verso qualcosa che altrimenti sarebbe riservato a pochissimi specialisti, e ovviamente prelude ad aspetti commerciali sul possibile utilizzo delle scoperte che si fanno.
3 maggio 2018 - 10:58
La questione dello sviluppo delle macchine e dell’IA è una questione diversa ed è molto interessante. Ciò che ritengo insensata è la competizione tra l’uomo e la macchina, ma ancora di più (qui si sconfina proprio nel ridicolo) l’atteggiamento sconsolato che spesso lo accompagna. Ripeto, questo atteggiamento avrà un senso se mai le macchine dovessero vietarci il gioco. Tra l’altro neanche si prendono la briga di schernirci perché siamo così scarsi…
3 maggio 2018 - 10:53
“l’evoluzione delle macchine che emulano il modo di pensare degli umani”
Il che a sua volta porta alla discussione sulla definizione di intelligenza e di essere umano. Quando avranno i replicanti alla Blade Runner ci guarderanno come noi guardiamo le pietre di selce scheggiate: ma è bello essere qui 😀
(come sottolineato il punto non è che Stockfish sia più forte di Carlsen e quindi della cosa non c’è da disperarsi. Però sono sicuro che quando la prima auto ha battuto per la prima volta un cavallo più di qualcuno lo ha fatto 🙂 )
3 maggio 2018 - 11:08
Ulteriore conferma del fatto che si fatica ad imparare dalla storia. Comunque in quei casi ci si lamentava più perché i nuovi di mezzi di locomozione sottraevano lavoro a chi usava i cavalli per guadagnarsi la pagnotta. Questo può rientrare all’incirca nel caso già accennato della proibizione degli scacchi per gli umani. Ma in realtà neanche, perché le corse di cavalli e l’equitazione continuano ad essere praticate, e non credo che siano tanti gli articoli sconsolati il cui tema è la figuraccia che i cavalli fanno se comparati alle formula uno. Del resto anche i cavalli stessi con ogni probabilità se ne fottono.
3 maggio 2018 - 11:29
Sì, ma il nocciolo continua a non essere i cavalli ieri* e i replicanti domani, continua ad essere la nostra ricerca oggi di cercare di capire come funzionano un po’ tutte quelle baracche che chiamiamo intelligenza, pensiero, apprendimento, etc.
Citando MM,
“La competizione è il mezzo per attirare interesse verso qualcosa che altrimenti sarebbe riservato a pochissimi specialisti, e ovviamente prelude ad aspetti commerciali sul possibile utilizzo delle scoperte che si fanno.”
Che poi gli scacchisti tendano ogni tanto a focalizzarsi più sulla competizione “di condimento” rispetto all’apprendimento “portata principale” non è quella gran scoperta 🙂
*non rispondere seriamente alle mie parentesi, non ne vale quasi mai la pena 😀
3 maggio 2018 - 12:31
E questo nocciolo, come ho detto, è interessante. Io pongo l’accento soprattutto su questo atteggiamento di sconforto come se le macchine ci stessero togliendo la possibilità di giocare o quantomeno il gusto. Poi anche sulla competizione tra uomo e macchina. Se Anders avesse scritto oggi il suo capolavoro, “L’uomo è antiquato”, delle cui tesi io sono un fermo sostenitore, non penso che avrebbe dedicato neppure un paragrafo alla superiorità dei computer nel gioco degli scacchi. Il problema filosofico – e quindi anche esistenziale – del rapporto fra l’uomo e la tecnologia (che è solo una, ma forse ormai la più potente, delle molte manifestazioni della tecnica) riguarda ben altri scenari. Questo è tutt’al più – sul piano filosofico – un divertissement. Ci si diverta pure a giocare con i computer e ci si facciano pure tanti bei soldoni, ma non ci si deprima perché il computer può batterci con facilità.
3 maggio 2018 - 13:49
Giusto, però io tutta questa depressione non l’ho vista. ☺
Uso il computer in tutte le questioni nelle quali può essermi utile, e non sono geloso delle cose che fa al posto mio.
Nel caso specifico degli scacchi, mi è utile per studiare qualcosa e tenere in ordine quello che ho prodotto. Non mi sento in competizione con lui, esattamente come non lo sarei inseguendo una moto a piedi.
Casomai ci salgo sopra ?
3 maggio 2018 - 15:00
Io facevo riferimento all’articolo (e ad altri che ho letto in passato) e in particolare a frasi come questa:
“Lee Sedol, come d’altra parte Kasparov dopo la sconfitta con Deep Blue, ha continuato a vincere competizioni, forse dimostrando addirittura una ancor maggiore superiorità, ma a questo punto, se pur in diverse versioni, le “macchine” ci hanno superato in profondità (calcolo), ampiezza (visione strategica) e comprensione (intuizione). Ci resta ancora qualcosa?”
Ci resta ancora qualcosa? No, è tutto finito, suicidiamoci.
“non abbiamo più nessun uomo in grado di competere con il computer”
E chissenefrega ce lo vogliamo aggiungere o no? Pensiamo poi quanto importa al computer di batterci. Quando svilupperà la capacità di gongolare e dileggiare, allora potremo ciondolare la testa sconsolati. Ma non è ancora giunto il momento.
” Il pensiero consolatorio che siamo stati noi uomini a creare le macchine e che siamo noi uomini a migliorarle, non tranquillizza”
Dunque c’è qualcuno sconfortato e agitato dalla preoccupante prospettiva di non poter vincere a scacchi contro un computer. Io gli consiglio di dedicarsi allora alla poesia, ché in quel campo continuerà a vincere la competizione ancora a lungo o forse per sempre.
“Forse ci rimane quello che suggerisce Kasparov: la scelta cosciente di affiancarci alle macchine, utilizzarne le capacità indirizzandone gli sforzi e creando strutture e processi all’interno dei quali la loro forza risulti funzionale agli obiettivi dell’uomo.”
Ma mi scusi, l’uomo ha forse inventato la ruota per competere con essa in gare di velocità? O non l’avrà inventata semmai per affiancare i propri sforzi? Quindi che significa quel “forse ci rimane”, come se questa finalità fosse solo un amaro ripiego e non piuttosto la prima, originaria e per moltissimi secoli l’unica finalità della tecnologia!
3 maggio 2018 - 15:11
Ci ho ripensato: credo che Anders avrebbe dedicato qualche riga alla disperazione dell’uomo che non può sconfiggere un computer a scacchi, proprio come lampante esempio della vergogna prometeica. I miei commenti qui sono forse dettati da un moto di ribellione a questo fenomeno psicologico e sociale, quindi forse sono anche io affetto da questo stesso senso di vergogna, sebbene la mia reazione sia antitetica a quella dello sconforto. Mah, in fondo sono figlio del mio tempo, come tutti.
3 maggio 2018 - 15:18
Tutto giusto, ma fatto è che la ruota è un aiuto meccanico, lo si archivia o può archiviare con “Ben venga, mica siamo fatti per portare pesi per centinaia di chilometri!”
Come specie siamo riusciti a sopravvivere con l’intelligenza*, vedere i primi passi, farglieli fare noi, di un qualcosa che un giorno potrebbe prendersi il primato di entità più intelligente del pianeta è credo diverso dal vedere una moto più veloce di un umano.
Suicidarci magari no, ma capisco che a qualcuno (quanti non so) qualcosa di atavico si risvegli preoccupato e depresso quando una macchina supera un umano nel “suo” campo evolutivo. 🙂 Non sto parlando di timore di Skynet o Roy Batty per carità, forse semplicemente non siamo ancora abituati a veder fare ad altri meglio di noi ciò che ci caratterizza.
(poi MM non la conta giusta: “Uso il computer in tutte le questioni nelle quali può essermi utile, e non sono geloso delle cose che fa al posto mio.” Sono sicuro sia vero, ma sono anche sicuro che ogni volta che aggiungono un pezzo alle TB la sua anima di finalista si deprima 🙂 )
(a proposito di computer e poesia e scacchi, l’accoppiata Shakespeare-Kasparov è ancora lontana però stiamo iniziando anche lì http://chesspoetry.com/play/ )
*non, riassumendo, potendo cacciare come le tigri e non potendo scappare come le gazzelle.
3 maggio 2018 - 16:34
In questo caso sbagli, perchè quando arriveranno le tablebases di 8 pezzi stapperò 5 bottiglie di quello buono ?
La maggior parte dei miei studi verte su posizioni critiche di 8-10 pezzi ( si chiamano Meredith da 8 fino a 12 pezzi ) e questo mi eviterebbe ore di spossanti analisi ?
3 maggio 2018 - 19:25
Sì, è appunto la vergogna prometeica di cui parlavo (o meglio, di cui parlava Anders, che la chiamava così). Solo che cominciare a star male già da ora solo perché un computer ci batte a scacchi (cosa prevedibilissima già da decenni peraltro, non è una sorpresona) può apparire esagerato. In effetti, noi tre non ne soffriamo più tanto. Siamo ancora lontani dal futuro distopico (proprio stile Terminator o Matrix) evocato in chiusa all’articolo: “speriamo che siano anche i nostri disegni”. In ogni caso, l’articolo insiste su questo ribaltamento della finalità originaria degli strumenti della tecnica: sembra che per lo scrivente lo scopo primario sia la competizione con la macchina – quindi l’esaltazione delle capacità intellettive umane – e solo in seconda battuta, una volta fallito in quel campo, la macchina si decide di usarla per facilitare il lavoro dell’uomo ormai sconfitto. Ho preso l’esempio della ruota, ma si può anche fare l’esempio del computer stesso: non è stato inventato per saggiare agonisticamente le capacità dell’intelletto umano, ma per svolgere con più facilità e rapidità certi compiti.
3 maggio 2018 - 20:05
https://mondodomani.org/dialegesthai/vru01.htm#par2
4 maggio 2018 - 18:56
Grazie per l’interessante link 🙂
3 maggio 2018 - 17:16
Mi ero fatto l’idea che comporre/risolvere uno studio sui finali fosse una cosa tipo “il tormento e l’estasi” 🙂
Bene, ti toglieranno le ore di spossanti analisi. Però le Meredith da 8 pezzi non assumeranno un valore da, giusto per esagerare, marco di Weimar? Se ti tolgono il tormento, sempre secondo la mia idea, come la trovi l’estasi? 😉
(meglio comunque che si stappi ovviamente)
3 maggio 2018 - 23:13
E’ una vicenda complicata…..
Le tablebases possono aiutare enormemente le analisi, quando si tratta di verificare che la soluzione contenga tutte mosse uniche ( per il bianco ), quindi le 7pezzi Lomonosov aiutano più delle 6pezzi Nalimov, ma non aggiungono nulla al contenuto artistico della posizione costruita dall’autore.
Se non c’è all’inizio non c’è neanche dopo, e i giudici sono diventati inflessibili proprio a causa delle tablebases, tanto che scartano quasi automaticamente i lavori troppo “tecnici”.
Recentemente in un concorso ( molto prestigioso a dire il vero ) ho visto ignorato un mio studio di 8 pezzi che aveva una soluzione di 33 mosse uniche del bianco, e le prime 29 senza catture (!) per cui le TB7 non mi hanno aiutato molto.
Vabbè, quisquilie, io persevero.
4 maggio 2018 - 19:00
Quindi mi stai dicendo che componi studi di 8 pezzi che prevedono “33 mosse uniche del bianco, e le prime 29 senza catture” e poi mi dici che non ti piace lo stile di Carlsen* 😀
Grazie delle spiegazioni, tengo solo a precisare che non è che avevo l’idea che buttare 8 pezzi sulla scacchiera e poi accendere, quando sarà, le TB8 potesse bastare e avanzare 🙂
*parlando di cose serie: sinceri complimenti.
18 maggio 2018 - 23:55
Se vi stuzzica l’idea di giocare contro una rete neurale ( che sta imparando sulle orme di alphazero ) allora visitate il blog seguente, e fate click su “restart game”
http://play.lczero.org/
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